USA: niente copyright per le opere generate con l’AI
Il Copyright Office degli Stati Uniti ha pubblicato le nuove Linee Guida in cui ribadisce la sua posizione nei confronti delle opere generate dall’intelligenza artificiale.
Dopo oltre un anno di consultazioni, il Copyright Office degli Stati Uniti ha pubblicato le nuove Linee Guida in cui ribadisce la sua posizione nei confronti delle opere generate dall’intelligenza artificiale, alle quali viene sostanzialmente negata la possibilità di ottenere il copyright.
Il Copyright Office si era già espresso su alcuni casi concreti, evidenziando chiaramente la sua contrarietà a riconoscere ogni diritto a quelle parti dell’opera create dalla macchina senza un significativo intervento umano.
Il primo caso è stato quello del Dott. Steven Thaler, ideatore e progettista di Dabus, una intelligenza artificiale in grado di inventare e creare opere, che si è visto negare il copyright sulla sua opera “A Recent Entrance into Paradise”, proprio in ragione del fatto che aveva dichiarato che «era stata creata autonomamente da un algoritmo informatico in esecuzione su una macchina» senza alcun intervento da parte sua.
Successivamente Kris Kashtanova si è, a sua volta, vista negare il copyright sulle parti del fumetto “Zarya of the Dawn”, realizzate tramite Midjourney, mentre l’Ufficio lo ha riconosciuto sui testi scritti da lei personalmente e sull’opera complessiva nel suo insieme, ma non sulle singole immagini generate dalla macchina.
Jason Matthew Allen, autore dell’opera “Théâtre D’opéra Spatial”, vincitrice della Colorado State Fair's annual fine art competition, si è visto invece negare ogni tutela in quanto nel suo lavoro non era possibile scindere la parte creata dalla macchina, di per sé non proteggibile, da quella realizzata dall’uomo che avrebbe potuto essere protetta. L’opera è, infatti, il risultato di una “collaborazione” tra l’uomo e la macchina, indispensabile per ottenere il risultato premiato, senza che sia possibile stabilire dove finisca l’intervento dell’uno ed inizi quello dell’altra.
Fallimentare è stato infine il tentativo di Ankit Sahni di ottenere il copyright per l’opera “Suryast” della quale si è qualificato co-autore insieme al sistema di intelligenza artificiale RAGHAV Artificial Intelligence Painting App. Il Copyright Office ha negato ogni protezione, ritenendo prevalente l’intervento dell’AI rispetto a quello dell’uomo.
Il nuovo Report on Copyright and Artificial Intelligence dell’US Copyright Office
Con le nuove Linee Guida, i principi già espressi in quelle sedi vengono adesso ulteriormente ribaditi e argomentati, in accoglimento di molte delle tesi dell’Authors Guild, la potente associazione statunitense che difende gli autori e gli editori.
L’Ufficio chiarisce che per potere stabilire quando un autore possa ottenere dei diritti sulle opere che ha realizzato utilizzando un sistema di intelligenza artificiale occorre esaminare il modo in cui se ne è servito e la funzione che ha svolto nel processo creativo.
Se l’AI è utilizzata per fare “brainstorming”, e quindi per dialogare con il sistema al fine di ottenere idee o suggerimenti su come impostare un certo lavoro, il copyright può essere riconosciuto, in quanto il contributo dell’intelligenza artificiale non influenza il risultato finale.
In tutti gli altri casi, invece, è molto difficile potere giungere allo stesso risultato, indipendentemente da quanto lavoro sia stato necessario da parte dell’uomo per ottenere dalla macchina il risultato voluto.
Le istruzioni che vengono fornite (prompt), quand’anche complesse, numerose e articolate, non sono considerate sufficienti a guidare il processo generativo della macchina, o anche solo ad influenzarlo. Secondo il Copyright Office scrivere un prompt equivale ad esprimere un desiderio sperando che l’AI possa realizzarlo, ma non contribuisce in alcuna misura al risultato ottenuto.
La posizione è, sinceramente, criticabile e sono in molti a sostenere che l’attività di prompting sia a sua volta un’arte che richiede abilità e creatività e che il prompt è proprio l’elemento essenziale che fa la differenza tra un’opera e un’altra. Ovviamente istruzioni banali genereranno risultati banali, ben difficili da proteggere, ma prompt elaborati e ripetuti contribuiscono in modo sostanziale alla generazione dell’opera.
Nonostante queste osservazioni, avanzate da diversi interlocutori, il Copyright Office è rimasto fermo sulla sua posizione, dichiarando che il prompt è come un giro della roulette.
A sostegno della sua tesi l’Ufficio richiama un importane precedente, CCNV Community for Creative Non-Violence v. Reid, in cui si è affermato che, nel caso di un’associazione che si limita a commissionare un’opera ad un’artista, i diritti d’autore spettano all’artista e non al committente. In quel caso la Corte aveva sottolineato che affinché i diritti potessero spettare al committente era necessario che venissero forniti all’esecutore tutti i dettagli dell’opera, in modo che non dovesse fare alcuno sforzo per realizzarla tranne l’applicazione materiale dei concetti indicati, cosa che non si verificava in quel caso e neppure si verifica, secondo il Copyright Office, nel caso delle opere generate dall’AI.
Per queste ultime non è stato ritenuto applicabile neppure il principio dell’authorship by adoption, ovvero il fatto che un’artista abbia selezionato tra le tante una determinata immagine generata, attribuendole un valore artistico.
Per quanto riguarda gli input, ovvero i materiali, intesi come testi, disegni o immagini, che l’autore fornisce al sistema AI affinché li rielabori o su di essi intervenga, l’Ufficio riconosce che, a differenza dei prompt, questi input possono essere coperti dal diritto d’autore e di conseguenza influenzano il risultato finale che, ovviamente, li conterrà.
Tuttavia, anche in questo caso la posizione dell’ufficio è estremamente rigida e conclude che in merito all’opera finale, il copyright può essere riconosciuto solo alla parte dell’input che continua ad essere visibile e percepibile nell’opera generata.
Il caso di Rose Enigma
L’esempio è l’opera Rose Enigma di Kris Kashtanova, la stessa autrice di Zarya of the Dawn, per generare la quale era stato inserito come input il disegno realizzato a mano dalla Kashtanova che aveva chiesto all’intelligenza artificiale di modificarlo secondo sue precise indicazioni.
Il Copyright Office ha registrato l’opera con limitazioni, precisando che la tutela poteva essere accordata solo alla parte in cui si riconosceva ancora l’opera originale («Registration limited to unaltered human pictorial authorship that is clearly perceptible in the deposit and separable from the non-human expression that is excluded from the claim»).

Le cose non cambiano, ma sono un po' più rassicuranti, nel caso in cui un autore modifichi un’opera creata dall’intelligenza artificiale.
Nel caso di opera modificata, il copyright può essere riconosciuto solo sugli interventi effettuati, a condizione che essi di per sé siano creativi, per cui l’opera modificata può ottenere protezione, salvo il diritto per chiunque di utilizzare l’opera base.
Se un’opera generata dall’AI viene invece inserita in un lavoro più complesso, si pensi a un’immagine o a un video che viene inserito all’interno di un film, il lavoro nel suo insieme può ottenere il copyright, ma la singola scena resta priva di diritti e può essere utilizzata da altri in contesti diversi.
Tutto questo sforzo del Copyright Office di esaltare l’importanza dell’intervento umano per riconoscere il copyright solo alle opere in cui sia riconoscibile la mano dell’uomo è un pericoloso boomerang.
Se le opere generate dall’AI sono libere da copyright chiunque può utilizzarle senza pagare i diritti agli autori, è possibile che saranno preferite per ottenere un risparmio di spesa, mentre chi si è adoperato con giornate di lavoro per ottenere un certo risultato non vedrà ripagato il proprio sforzo creativo.
Di questo gli autori dovrebbero lamentarsi e pretendere, all’opposto di quanto si sta facendo, di vedere riconosciuto come dotata di valore artistico e creativo la loro abilità nel guidare la tecnica verso il risultato voluto.
Qualsiasi mezzo interferisce con il risultato dell’artista, anche lo scalpello, la tempera o il pennello, l’intelligenza artificiale lo fa di più e in modo diverso, ma al timone c’è sempre l’uomo.
Affermare questo, e riconoscere l’importanza del suo lavoro nello scrivere i prompt, nello scegliere un’immagine tra le tante, nell’inserire un input piuttosto che un altro, sarebbe il vero e unico modo per valorizzarlo.
Il resto è solo resistere, soccombendo, a una realtà che avanza.
Condivido le vostre riflessioni. Al momento l'AI resta uno strumento avanzatissimo ma pur sempre uno strumento. Anche in ambitious ingegneristico ouo' programmare meglio di un essere umano ma chi "ordina" cosa fare è sempre un cervello umano. Per alcune presentazioni ho generato delle immagini usando copilot e vi posso dire che ho usato talmente male il prompt che non rappresentavano quello che avevo in mente ma alla fine mi son stufata e ho preso le meno peggio.
"Qualsiasi mezzo interferisce con il risultato dell’artista, anche lo scalpello, la tempera o il pennello, l’intelligenza artificiale lo fa di più e in modo diverso, ma al timone c’è sempre l'uomo". Penso che questo sia il punto determinante. Il processo lo inizia un uomo che commissiona un lavoro e poi ne giudica l'esito. Banalizzo, con un: mi piace, non mi piace. Quando l'algoritmo deciderà da solo di scrivere qualcosa e alla fine della scrittura decidere se va bene o meno allora sarà un uomo e varranno tutti i diritti degli umani. fino ad allora il copyright va dato all'uomo che decide di richiederlo per quel lavoro, qualsiasi sia lo "strumento" con cui quel lavoro sia stato realizzato. È l'uomo che decide cosa fare e valuta se, alla fine, sia corrispondente o meno alla sua idea. Direbbe qualcuno: ci mette la faccia. E, la faccia mi pare che sino ad ora l'AI non la possa mettere e non abbia proprio idea di che cosa possa significare. L'algoritmo risolve il problema proposto con i miliardi di informazioni che ha punto e basta, il suo lavoro è risolto, altra cosa è poi, mettere la faccia su quel lavoro. Spero di aver reso comprensibile quel che penso.