«Affidarsi» di David Runciman. Come le macchine potrebbero sostituire gli Stati
Un viaggio storico e culturale che ci mostra come l’intelligenza artificiale non sia la prima creatura artificiale a cui abbiamo delegato il potere di decidere per noi.
Questo libro mi è capitato tra le mani quasi per caso ed è stata una fortuna.
David Runciman insegna Scienze politiche all’Università di Cambridge e in questo suo ultimo lavoro, pubblicato da Einaudi, ci conduce in un viaggio storico e culturale per mostrarci come l’intelligenza artificiale non sia la prima creatura artificiale a cui abbiamo delegato il potere di decidere per noi.
Siamo circondati da enti artificiali
Gli uomini, da secoli, creano strutture che li trascendono a cui affidano compiti gestionali, amministrativi e decisionali, primo tra tutti lo Stato, ma anche le imprese. Siamo circondati da enti artificiali che non si traducono nella sommatoria degli uomini che li compongono.
I gruppi pensano in modo diverso dai singoli, ce lo insegna l’esperienza e ce lo dimostra la scienza. È il così detto “dilemma discorsivo”, che può condurre una giuria ad assumere una decisione che i singoli giurati, singolarmente consultati, non avrebbero preso. Questo fenomeno si traduce nella “saggezza delle folle” o nella “follia delle folle” a seconda che il gruppo decida meglio di come avrebbe fatto il singolo o trascini persone pacifiche verso un agire prima impensabile per loro.
Esiste, in sostanza, una sorta di pensiero collettivo, all’apparenza inspiegabile.
In questo contesto è interessante il teorema della giuria di Condorcet per cui:
«se a un gruppo di persone con opinioni indipendenti viene chiesto di scegliere tra due opzioni, più numeroso è il gruppo, più è probabile che arrivi al risultato corretto».
Nicolas de Caritat, marchese di Condorcet, è un filosofo e matematico vissuto nel XVIII secolo, ma la sua affermazione mi ha colpito perché, mutatis mutandis, è quanto accade con l’intelligenza artificiale: più aumentano le sue capacità di calcolo e più è probabile che dia la soluzione giusta.
Runciman ci presenta lo Stato come un robot, una persona artificiale che ha un’intelligenza meccanica, che decide le cose senza conoscerle e richiama il Leviatano di Hobbes, uno Stato-macchina, creato dall’uomo «che non è altro che un uomo artificiale, anche se dotato di una struttura e di una forza più grandi rispetto a quello naturale, per proteggere e difendere il quale è stato ideato».
Una volta strutturato, con i suoi meccanismi decisionali e il suo apparato, lo Stato può funzionare indipendentemente dalla persona che lo comanda, sopravvive ad essa e, spesso, decide oltre la sua volontà perché è guidato da dinamiche sue interne.
In questo senso c’è una forte similitudine tra lo Stato e l’intelligenza artificiale.
Affidare il comando a una persona sola può apparire il metodo più rapido e efficiente per governare, ma non è la soluzione migliore. Un sistema funziona meglio quanto meno è legato alla personificazione del suo leader. Lo dimostrano le economie di successo, che hanno in comune il fatto di avere governi relativamente stabili, organizzati come corpi rappresentativi in cui i governanti agiscono in favore di uno stato impersonale che pondera gli interessi di tutti, senza privilegiare i ricchi o i poveri, al fine della sua pacifica sopravvivenza.
La stessa cosa si verifica per le imprese, anch’esse strutture artificiali che devono il loro successo alla loro efficiente organizzazione, più che alle qualità delle singole persone. Anche quelle realtà come Amazon, Apple o Facebook che si riconoscono nelle figure di Jeff Bezos, Steve Jobs e Mark Zuckerberg, che senz’altro hanno svolto un ruolo non secondario, hanno il loro punto di forza nella struttura organizzativa che li sostiene.
Fino ad oggi, le due strutture artificiali, Stato e impresa, hanno collaborato e si sono mosse fianco a fianco per ottimizzare il proprio bene e, indirettamente, quello dei cittadini la cui condizione, almeno dal punto di vista prettamente economico, è oggettivamente migliorata.
Adesso, però, le imprese tecnologiche hanno assunto un’importanza tale da fare dubitare che possano ancora avere bisogno dello Stato. Secondo Runciman, ad oggi, lo Stato serve ancora, ed anche aziende come Microsoft e Google se ne avvantaggiano, sia perché è il soggetto che può fornire le migliori infrastrutture e finanziare progetti pionieristici, anche con il rischio che possano essere in perdita, sia perché è il cliente migliore che un’impresa possa avere. Si pensi al contratto di Amazon con la CIA del 2013, con il quale si è assicurata seicento milioni di dollari per ospitare l’archivio dell’agenzia sul suo cloud.
L’AI sostituirà lo Stato?
L’intelligenza artificiale pone però di fronte a nuove riflessioni.
Le sue crescenti potenzialità, la capacità di analisi e la sua intelligenza meccanica, non tanto diversa da quella del Leviatano, la pongono come una possibile alternativa allo Stato.
L’AI potrebbe gestire meglio le risorse per decidere su cosa investire, stabilire come redistribuire la ricchezza, stabilire come intervenire sull’ambiente e svolgere tutti i compiti che abbiamo affidato allo Stato, ma con una visuale più asettica e sulla base di calcoli statistici.
Se si pensa alle valutazioni probabilistiche che può fare un sistema di intelligenza artificiale, in pochissimo tempo, esse sono sproporzionate rispetto a quelle di qualsiasi apparato statale, per qualità e rapidità.
A decidere quali saranno i compiti da affidare all’AI devono essere, però, gli Stati, almeno prima che la situazione possa sfuggire di mano. Dovrebbe avviarsi il prima possibile una collaborazione tra lo Stato-artificiale e l’intelligenza artificiale, per realizzare una struttura organizzativa e decisionale che sfruttino le potenzialità di calcolo e le peculiarità dell’AI, unendole alla saggezza collettiva dell’apparato statale.
Probabilmente è presto perché l’intelligenza artificiale sostituisca lo Stato, ma non è detto che ciò non possa accadere in futuro. Integrarla, con saggezza e regole precise, nel processo decisionale può però essere molto utile, per non dire necessario.
In questo contesto, affidarsi all’AI non dovrebbe fare più paura di affidarsi allo Stato o alle imprese che assumo decisioni che prescindono dal pensiero dei singoli. Sono anni che ci affidiamo a strutture artificiali e l’AI è solo l’ultima creatura che l’uomo ha realizzato, con lo stesso scopo di avere a disposizione un’entità che possa assumere decisioni e svolgere attività meglio di quanto egli stesso può fare come singolo individuo.
Gli Stati la temono come una possibile rivale, molto più potente di loro, mentre sarebbe più saggio prenderla sotto braccio e iniziare un percorso comune a beneficio di tutti.
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Tesi affascinante ma da approfondire, anche Dio in questo contesto potrebbe essere considerato una " creatura artificiale" ma difficilmente per i suoi credenti potrebbe avere bisogno della IA.
p.s.: gli stati stanno già utilizzando l'IA ma in settori limitati, ad esempio quello militare