AI, Italia dei buoni propositi e i mestieri che mancano
L’AGID ha recentemente pubblicato un documento dal titolo «Strategia Italiana per l’Intelligenza artificiale 2024-2026» che potrebbe rischiare di restare un catalogo di buone intenzioni.
L’AGID, l’Agenzia per l’Italia Digitale, ha recentemente pubblicato un documento dal titolo «Strategia Italiana per l’Intelligenza artificiale 2024-2026» che potrebbe rischiare di restare un catalogo di buone intenzioni senza un apparente riscontro pratico.
L’Italia dice di volere scommettere sull’intelligenza artificiale come motore di trasformazione del sistema socio-economico, ma più che una scelta sembra una necessità. Tutte le economie mondiali sanno quanto sia importante non perdere le occasioni che questa nuova tecnologia offre, il vero problema resta capire che cosa sia meglio fare e come si possa agire in concreto.

Le macro aree della Strategia italiana per l’intelligenza artificiale 2024-2026
La strategia italiana individua quattro macro aree, Ricerca, Pubblica Amministrazione, Imprese e Formazione con lo scopo di posizionare il paese (addirittura) tra i leader tecnologici mondiali, consapevole delle indubbie risorse intellettuali di cui disponiamo.
Sul fronte della Ricerca, l’Italia intende rafforzare il proprio contributo accademico globale, sviluppando algoritmi innovativi, sistemi di spiegabilità e approcci etici, tutto molto bello che però male si coniuga con i tagli alla spesa sulla ricerca e sull’insegnamento. Nell’ambito della Pubblica Amministrazione, ci si propone di migliorare l’efficienza dei servizi e garantire trasparenza e sicurezza attraverso piattaforme avanzate, senza fare troppo i conti con resistenze culturali e burocratiche. Sul lato delle Imprese, non si può non ricordare come le PMI siano spesso penalizzate dalla mancanza di risorse e non è dato sapere se la creazione di "facilitatori" territoriali, concepiti come punti di connessione tra le imprese tradizionali e quelle ICT, sarà davvero efficace, vista la tradizionale inefficienza nella gestione dei fondi e la difficoltà di creare sinergie tra pubblico e privato.
A prescindere da tutto questo, anche se tutti i buoni propositi venissero realizzati, resta il problema serio e trasversale che per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e per la sua introduzione nel sistema produttivo e amministrativo è necessario disporre di figure professionali preparate che sembrano mancare.
La cronica carenza di competenze specializzate potrebbe, quindi, vanificare ogni sforzo e in questo contesto la Formazione rappresenta la sfida più complessa ma anche la più urgente.
L’alfabetizzazione digitale della popolazione e l’introduzione di percorsi educativi sull’intelligenza artificiale nelle scuole sono passi importanti, ma non sufficienti, se non si creano percorsi formativi anche per i professionisti che già operano e che, da un lato, sono indispensabili, e dall’altro sono a rischio disoccupazione se non si preparano ad affrontare la tecnologia che avanza.
Le nuove professioni legate all’AI
Ad essere colpiti dal diffondersi dell’intelligenza artificiale sono molto di più i colletti bianchi rispetto a coloro che svolgono lavori manuali. A dirlo è il rapporto dell’Associazione Italiana per la Ricerca Industriale (AIRI) in cui si elencano le figure professionali di cui c’è necessità e che non sono soltanto tecnici informatici.

Ci sono figure come l’AI ethicist, che si deve occupare di « valutare e garantire l’etica, la legalità e la responsabilità dei contenuti generati dall’IA o dei processi gestiti con l’IA» e che probabilmente sarà un filosofo o un giurista, in grado di prevenire i rischi etici e sociali legati all’uso dell’intelligenza artificiale.
Saranno necessari gli AI manager che dovranno lavorare all’interno di gruppi interdisciplinari per valutare complessivamente la fattibilità dei progetti. Al loro fianco opereranno indubbiamente i tecnici, come gli AI architect, chiamati ad occuparsi della “strategia per l’architettura dell’A” coordinando, altre figure professionali indispensabili come i data scientist, i data engineer, gli sviluppatori e i responsabili operativi.
Sempre dal punto di vista tecnico, ma che operano sul lato dell’utilizzo della tecnologia più che sul fronte dello sviluppo, saranno sempre più richieste le professioni di prompt engineer e di application developer. Il primo è colui che crea prompt, ovvero istruzioni preconfezionate da dare in pasto ai sistemi di intelligenza artificiale affinché eseguano determinati compiti. La scrittura dei prompt è fondamentale e molto diversificata a seconda dei diversi settori in cui si opera. Il prompt che utilizza il medico è molto diverso da quello che serve ad un insegnate e l’intelligenza artificiale aiuta a sua volta a generarne di efficaci se usata con competenza. Gli application developer sono invece coloro che inventano nuovi impieghi dell’intelligenza artificiale lato pratico.
Sul piano della gestione dei sistemi che sfruttano questa tecnologia saranno necessarie nuove figure professionali, anche queste molto più umanistiche che tecniche, come il Chief Artificial Intelligence Office, il Data Protection Officer, il Consulente Legal Tech e il Privacy Engineer, chiamati ad affiancare le imprese affinché immettano sul mercato sistemi aderenti a quelle che sono le previsioni normative.
Più nello specifico, come si legge nel rapporto dell’AIRI, il Chief Artificial Intelligence Officer (CAIO) dovrà guidare e supervisionare l’implementazione dell’AI in azienda, gestendone i rischi, mentre il Data Protection Officer (DPO), figura già nota, introdotta dal GDPR, diventerà ancora più rilevante dovendo garantire il rispetto dei dati persali nell’ambito dello sviluppo di sistemi di intelligenza artificiale.
Il Consulente legal tech sarà un avvocato specializzato nel diritto delle nuove tecnologie, chiamato ad assistere le aziende nell’adeguamento alla normativa sull’intelligenza artificiale e in particolare su quanto richiesto dall’AI Act. Infine, il Privacy Engineer dovrà occuparsi di progettare soluzioni tecnologiche che siano rispettose anche delle norme sulla privacy, lavorando a stretto contatto con gli avvocati e gli sviluppatori.
Insomma, c’è tutto un nuovo mondo da scoprire a cui non possiamo farci trovare impreparati.
I professionisti devono fin da subito rimboccarsi le maniche e ampliare le loro competenze, ma la strategia italiana deve mettere al primo posto la formazione, se vuole davvero raggiungere tutti gli ambizioni obiettivi che si è prefissata in ambito imprenditoriale e nella pubblica amministrazione, perché senza personale qualificato qualsiasi buon proposito resta solo una dichiarazione d’intenti.
Grazie, articolo meraviglioso che spiega molto bene le professioni del futuro.
Se mi posso permettere una critica, quasi tutte queste figure sembrano più liberi professionisti che dipendenti: anche i prompt engineer, una volta fatto il corso ai dipendenti dell'azienda, saranno chiamati una volta ogni tanto.
Purtroppo non sembra che in Italia ed in Europa verrà mai sviluppata un'I.A. con la conseguenza che le figure tecniche dovranno essere fortunate ad aver fatto formazione negli U.S.A., le figure "umanistiche" a Bruxelles!!