Google fatta a pezzi. Un futuro diverso anche per l’AI.
Google è ritenuta colpevole di aver mantenuto illegalmente un monopolio nel mercato dei motori di ricerca e pubblicità online. La decisione della Corte potrebbe ridefinire il futuro del web e dell'AI.
Negli ultimi dieci anni, Google è diventato uno dei principali strumenti di accesso a Internet per milioni di americani.
È stato definito il “gateway to the Internet” dal Dipartimento della Giustizia (Department of Justice, DoJ) degli Stati Uniti nel giudizio che ha introdotto di fronte alla Corte federale del Distretto della Columbia contro Google LLC, ritenuta colpevole di aver mantenuto illegalmente un monopolio nel mercato dei motori di ricerca e della pubblicità online.
Il procedimento è stato instaurato nel 2023 e la decisione è attesa per Agosto 2025, le udienze sono state fissate ad Aprile e il DoJ ha recentemente formulato le sue richieste alla Corte, mantenendo ferma la sua posizione iniziale che ha meglio precisato.
L’accusa mossa a Google è che dietro il suo successo ci siano una serie di condotte monopolistiche in particolare per il fatto che l’azienda avrebbe stipulato accordi di esclusiva con i principali operatori, impedendo ai concorrenti di entrare o sopravvivere nel mercato.
Dalle indagini svolte in corso di causa è emerso che la maggior parte dei dispositivi venduti negli Stati Uniti ha Google preinstallato come motore di ricerca predefinito e che per ottenere questo risultato, Google ha versato ingenti somme di denaro per soffocare la concorrenza, impedendo agli utenti di potere scegliere servizi alternativi.
Secondo quanto riferisce il portale Tuta Mail che offre un servizio email alternativo a Gmail, Apple avrebbe ricevuto 15-20 miliardi di dollari all’anno per avere Google come motore di ricerca preimpostato in Safari utilizzato nei suoi dispositivi, mentre Samsung avrebbe incassato 3-4 miliardi di dollari all’anno allo stesso fine.
Per il DoJ, la posizione di Google non rappresenta solo un problema economico, ma una minaccia alla libertà.
La mancanza di concorrenza ha ridotto l’innovazione, peggiorato la qualità dei servizi pubblicitari e ha consentito a Google di imporre le proprie condizioni ai partner e agli utenti.
In un mercato privo di concorrenza, il consumatore non ha più il potere di scegliere e Google, forte della sua posizione, è diventato un "autocrate del commercio", capace di indirizzare le scelte, i contenuti e i servizi a proprio vantaggio.
Cosa propone il Department of Justice
Applicando il Sherman Act, una legge federale che proibisce i monopoli, il Department of Justice propone l’emanazione di una sentenza che ordini una serie di rimedi drastici per ripristinare la concorrenza nel settore.
Tra le misure più rilevanti imposte a Google ci sono:
il divieto di stipulare accordi per l’esclusiva per cui Google non potrà più pagare produttori di dispositivi, browser o sistemi operativi, inclusa Apple, per essere il motore di ricerca predefinito;
il controllo sulle pratiche di intelligenza artificiale, per cui Google dovrà notificare in anticipo eventuali acquisizioni o investimenti nel settore dell’AI, per evitare nuove forme di monopolio in questo settore;
l’obbligo di consentire l’accesso ai dati e agli obblighi di maggiore trasparenza in modo che i concorrenti possano accedere a informazioni essenziali, come indici di ricerca e algoritmi di posizionamento, per riequilibrare le disparità causate dal predominio di Google;
soprattutto, ed è questa la misura più rilevante e che fa più notizia, l’obbligo per Google di cedere Chrome, il browser che gestisce oltre il 30% delle ricerche web.
Inutile dire che Google non vede tutto questo di buon occhio e ha già anticipato che si opporrà con tutte le sue forze.
Il DoJ, da parte sua, insiste nell’evidenziare che i monopoli sono incompatibili con la libertà di mercato e con i valori americani come quelli della libertà di parola, di associazione, di innovazione e di concorrenza. Un sistema economico sano richiede che nessuna azienda, per quanto innovativa, possa impedire ad altre di emergere.
Un nuovo futuro per il web e l’AI?
La decisione non sarebbe contro la tecnologia, ma a favore di un ecosistema digitale più equo e prevede anche programmi per informare e educare i consumatori, incentivandoli a esplorare alternative e a comprendere meglio l’importanza della libertà digitale.
Se questa sarà la decisione finale, si tratterebbe di passaggio epocale che potrebbe ridefinire il futuro del web, restituendo agli utenti e al mercato quella libertà di scelta che è alla base di ogni sana economia.
Una tale posizione sarebbe molto rilevante nel contesto attuale in cui l’intelligenza artificiale sta diventando sempre più importante in modo trasversale, tanto da essere stata equiparata all’introduzione dell’energia elettrica, mentre resta una tecnologia nelle mani di pochissime grandi imprese.
Chissà per chi tifano i nuovi detentori del potere politico, Donald Trump e Elon Musk, che poi è solo una sineddoche per dire imprese AI tech.
Trump ha più volte attaccato Google, accusandolo di censurare le opinioni conservatrici e di manipolare le informazioni, ma non è ostile al successo economico delle big tech, né all’idea che possano crescere liberamente. Per lui il problema non è tanto la grandezza di Google, ma il suo presunto orientamento ideologico.
Musk sembra invece un fervido sostenitore della concorrenza e teme che regolamentazioni e sentenze eccessive possano frenare l’innovazione. Al tempo stesso, però, considera Google troppo dominante, specie nell’ambito dell’intelligenza artificiale.
In sostanza Trump teme la censura, Musk teme la centralizzazione, per cui entrambi per motivi diversi potrebbero ritenersi soddisfarsi da una sentenza sfavorevole a Google.
Il Department of Justice ha invece il solo scopo di ripristinare un equilibrio sul mercato, conformemente a quanto prevede la legge e offrire un messaggio chiaro: negli Stati Uniti, anche i giganti devono rispettare le regole della concorrenza.
Speriamo sia vero.